sabato 2 agosto 2014

La ditta non è mafiosa anche se i soci sono parenti del boss. Tar condanna assessorato all'energia


La Prefettura di Agrigento aveva emesso un'informativa antimafia "atipica" nei confronti della società "Siculiana cave" snc di Drago Francesco e Drago Giuseppe in ragione del rapporto di parentela intercorrente tra i soci ed un soggetto coniugato con tale S.G. a sua volta socia di una società amministrata da tale M.R. coniugata con un soggetto indagato nell'ambito di un'operazione antimafia, ma successivamente assolto perchè il fatto non sussiste e per insufficienza della prova.

Per effetto dell'informativa prefettizia il Distretto Minerario di Caltanissetta comunicava alla società la decadenza dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di cava nel territorio del Comune di Siculiana. Ma la società siculianese proponeva un ricorso davanti al Tar Sicilia richiamando il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui "la sussistenza di un rapporto di parentela con un soggetto ritenuto in possibile contiguità con la malavita organizzata non è da solo sufficiente a suffragare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa" ; sottolineando tra l'altro che il signor Drago Francesco, legale rappresentante della società ricorrente è figlio della signora Lo Iacono Angela denominata "madre coraggio" per avere sempre denunziato i diversi atti intimidatori di chiara matrice mafiosa subiti da altra società denominata "drago alfonsina" di cui la stessa era procuratore generale.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno, la Prefettura di Agrigento e l'Assessorato Regionale dell'Energia , rappresentati e difesi dall'avvocatura distrettuale dello stato di Palermo, per chiedere il rigetto del ricorso, previa reiezione della domanda cautelare. Già in sede cautelare il Tar aveva ritenuto fondato il ricorso della società "Siculiana Cave" ed aveva ordinato alla Prefettura di Agrigento ed all'Amministrazione Regionale di riesaminare, rispettivamente, l'informativa prefettizia ed il provvedimento di decadenza; ed in esecuzione dell'ordinanza cautelare la Prefettura di Agrigento aveva ritenuto di adottare una nuova informativa nei confronti della società siculianese, secondo cui non sussiste il pericolo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi gestionali della società ricorrente.

Da ultimo, esaminando il merito della controversia, il Tar Sicilia, Palermo, sez. 1, Presidente il Dr. Filoreto D'Agostino, relatore la Dr.ssa Maria Cappellano, preso atto dell'informativa antimafia liberatoria nelle more emessa dalla Prefettura di Agrigento, ha dichiarato la cessazione parziale della materia del contendere, accogliendo il ricorso nella restante parte ed annullando il provvedimento di decadenza dall'autorizzazione all'attività di cava esercitata dalla società ricorrente, basato esclusivamente sull'informativa atipica impugnata, e condannando entrambe le amministrazioni convenute, e cioè sia il Ministero dell'Interno sia l'Assessorato Regionale dell' Energia al pagamento delle spese giudiziali, liquidate in euro tremila, oltre iva e cassa di previdenza forense.

Pertanto, per effetto della sentenza resa dal Tar la società siculianese potrà continuare l'esercizio dell'attività estrattiva iniziata oltre dieci anni orsono e le amministrazioni resistenti dovranno pagare le spese giudiziali; salvo il diritto al risarcimento del danno subito dalla società siculianese per l'illegittima interruzione dell'attività estrattiva determinatasi nelle more del giudizio che potrà essere fatto valere entro centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del nuovo codice della giustizia amministrativa

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